Oggi possiamo leggere Papusza, e le sue straordinarie poesie, tradote in tedesco, inglese, francese, spagnolo, svedese e italiano. Tra le molte poesie che scrisse, sono rimaste a noi soltanto le 26 poesie nella versione polacca di Jerzy Ficowski, ed è proprio grazie a questo poeta che ella continua ad esistere. Oltre che da quest’ultimo, Papusza fu elogiata da altri illustri poeti polacchi: Julian Tuwim, Julian Przyboś, Wisława Szymborska, Anna Kamieńska, Edward Stachura. Papusza è presente oggi a pieno titolo nella storia della letteratura polacca, per i suoi meriti artistici e come prima poetessa di etnia zingara di cui sono state pubblicate le opere. Ma per questo ella pagò un prezzo altissimo. Più volte ripeteva: “Sono una stupida, se non avessi imparato a scrivere, sarei stata felice”.
Jerzy Ficowski – involontaria causa della sua fama e della sua tragedia, nel suo libro I demoni della paura altrui. Ricordi zingareschi (1986), si rivolge così alla poetessa un anno prima che lei morisse: “Cara Sorellina,…so di aver contribuito alla tua notorietà e alla tua disgrazia. La prima in realtà non è per merito mio, la seconda non è in realtà per colpa mia. Ciò malgrado, oggi sento in me il peso della corresponsabilità per tutte le miserie da cui sei stata colpita, benché sappia che esse erano ineluttabili. Perdonami, se puoi”.
Molto probabilmente tutto sarebbe stato diverso per Papusza se non avesse conosciuto Jerzy Ficowski. Di sicuro sarebbe morta sconosciuta, ma sana di mente e felice? Chissà – è difficile decifrare il destino dei poeti.
Canto del bosco
Ah, miei boschi!
In tutta la grande terra
non vi cambierei con nulla –
né con l’oro,
né con le pietre preziose,
le pietre preziose che
brillano così belle
e attirano la gente.
E le mie cime rocciose
le mie pietre sull’acqua
più care sono dei gioielli
che irradiano la luce.
Nel mio bosco di notte
sotto la luna
i fuochi ardono
e irradiano la luce
come pietre preziose,
che adornano le dita alla gente.
Ah, miei amati boschi,
che profumate di salute!
Che allevaste i giovani Zingari
come propri boschetti!
Il vento agita il cuore come foglia
e non c’è paura di nulla.
I bambini cantano,
sia che abbiano sete o fame,
saltano e ballano, perché
questo il bosco ha insegnato loro.
1952