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Edith Stein – Storia della grande studiosa di fenomenologia ed empatia – I parte

 

Edith Stein nasce a Breslavia (fino alla seconda guerra mondiale parte della Germania – poi passata alla Polonia) il 12 ottobre 1891, è l’ultima di 11 figli. Nel giorno della sua nascita la famiglia festeggiava lo Yom Kippur, il giorno dell’espiazione, una delle feste più importante nella cultura ebraica. Quasi un vaticinio, una profezia del suo olocausto. Il padre era un commerciante di legname, morì quando Edith non aveva ancora compiuto due anni. La madre dovette accudire sia la famiglia sia condurre la grande azienda ma non riuscì a mantenere nei figli una fede vitale, e così, anche Edith perse la fede in Dio. Dirà egli stessa più volte nei suoi scritti: “In piena coscienza e di libera scelta smisi di pregare”. Edith cresce senza molti problemi, sviluppando grandi capacità intellettuali e subito dopo gli esami di maturità si iscrive alla facoltà di Germanistica, Storia e Psicologia all’università di Breslavia. Ma il suo vero interesse era la filosofia e tutto ciò che riguardava le problematiche delle donne. Infatti, entrò a far parte dell’organizzazione “Associazione Prussiana per il Diritto Femminile al Voto. Più tardi scrisse: “Quale ginnasiale e giovane studente fui una radicale femminista. Persi poi l’interesse a tutta la questione. Ora sono alla ricerca di soluzioni puramente obiettive”. È a questo punto della sua vita che Edith fa un incontro che le cambierà la vita, infatti, scopre la corrente fenomenologica di Edmund Husserl (1859-1938). E nel 1913 si trasferisce all’università di Gottinga per seguirne le lezioni, divenendo sua discepola e assistente fino a conseguire con lui la sua laurea. A quel tempo Edmund Husserl affascinava il pubblico con un nuovo concetto della verità: il mondo percepito esisteva non solamente in maniera kantiana, cioè grazie alla percezione soggettiva:

“Difatti, prima di Kant l’uomo ha sempre ritenuto di essersi trovato di fronte alla realtà, già rivelata nel suo autentico aspetto; quindi il soggetto veniva visto come uno spettatore esterno che, per comprenderla, non doveva far altro che ragionare e trarre conclusioni. Kant invece rivoluziona tutto questo, affermando che la realtà che si presenta a noi è ben lontana dall’essere la realtà in sé. Per cui, quando vediamo un oggetto, non abbiamo la percezione diretta del medesimo così com’è, ma siamo obbligati a percepirlo con la necessaria mediazione delle categorie e dalle forme a priori di spazio e tempo. Le categorie sono delle forme insite nella ragione stessa, che hanno il compito di unire fra di loro i diversi dati che provengono dalle sensazioni secondo delle relazioni standard, come nel rapporto causa-effetto. Dunque Kant vedeva l’io, ovvero il soggetto, come il legislatore della natura (fenomenica). In questo senso si parla di soggettivismo”.

Continua…

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