La vita del popolo moxeno al di fuori delle riduzioni gesuitiche era molto complessa e articolata. Questo perchè il ruolo dei coloni portoghesi, presenti nel territorio, aveva un peso importante nella vita di tutti loro. I coloni portoghesi (detti anche bandeirantes) fu di grande impatto nel territorio, poiché questi fecero di tutto per schiavizzare i moxeños e portarli in Brasile. Naturalmente, tutti loro cercarono di trovare molti modi per proteggersi da queste deportazioni, alcuni arrivarono a mettersi anche abiti talari per apparire missionari. È così che venne occupato il villaggio di Santa Rosa, presso il rio Iténez, al confine col Brasile. Fu allora – era il 1762 – che la Spagna permise ai missionari di armarsi e di armare gli indios. Ma i moxeños che impugnarono le armi contro i bandeirantes furono meno di un centinaio, per di più vecchi e malati. Gli scontri, rari ed episodici, provocarono non più di una decina di morti. D’altra parte non ci fu neppure bisogno di un vero scontro armato su larga scala[1], perché poco più tardi, nel 1767, accadde l’evento decisivo per il futuro di Moxos: da Madrid arrivò improvvisamente l’ordine di espellere i gesuiti. In quello stesso anno i moxeños di Santa Rosa, che contavano molto sui missionari di Loyola per la loro liberazione, furono i primi a fuggire, attraversarono i fiumi amazzonici e arrivarono nella riduzione di Loreto. La notizia si propagò in tutto il territorio Moxos e tantissimi indios, non sentendosi protetti, cercarono rifugio nella selva.
Il nuovo governatore, il Colonnello Antonio de Aymerich, cercò di continuare l’esperienza delle riduzioni, facendo nominare dal vescovo due preti diocesani per ogni villaggio. Ma i nuovi sacerdoti, mal selezionati, giovani e inesperti, di dubbia moralità e vocazione religiosa, si rivelarono peggiori dei soldati spagnoli. Lasciarono una pessima reputazione di sé[2] e causarono la fuga degli indios dai villaggi.
Continua…
[1] A differenza di quanto accadde con i Guaranì in Brasile, evento che ispirò il film “Mission” di Roland Joffe del 1986.
[2] Se ne parla diffusamente nei libri di scuola boliviani. C’è una copiosa bibliografia in merito.