società

Ricerca antropologica XI – I MOXOS e i racconti che hanno sostenuto la tradizione di un popolo

 

I racconti del popolo moxeños, nella loro semplicità, contengono una morale fatta di pietà e ammirazione per la loro sorte. Essi sono un popolo libero e immerso nella natura. Ma lo sono fino all’arrivo dei coloni. La loro storia viene poi “illusa” al tempo delle riduzioni, dopodiché anche gli stessi gesuiti sono costretti alla fuga dopo l’espulsione dal territorio. Da qui il loro ritorno in quella foresta da cui erano venuti, impoveriti e ingannati dai loro stessi simili. Ed è proprio qui che nasce un sfigura mitica per il popolo. Nasce così la figura eroica dell’uomo moxeño, fiero del proprio passato, fiducioso nel proprio destino[1].

Se nella ricerca della Loma Santa c’è il valore della speranza, l’ossessivo amore per la natura, la fede in essa riposta anche quando è “matrigna”. Non solo. Quella speranza, oggi sappiamo, aveva ed ha ancora qualcosa di sacro acquisito al tempo delle riduzioni e che si manifesta attraverso la musica. Il vecchio Nemesio intervistato qualche anno fa nella foresta del TIPNIS (così come compare nel video allegato al presente rapporto) è la figura emblematica dell’indio rifugiatosi nella selva amazzonica, del credente fiducioso nei santi e nell’arcangelo che gli insegna la musica, del poeta che esegue con il suo violino “versi” dai suoni opachi ma appassionati.

Le critiche all’esperienza riduzionale nel territorio Moxos

Vengono qui proposte alcune valutazioni dell’esperienza riduzionale in Moxos fra loro contrapposte. Queste differenze interpretative mostrano quanto, a volte, siano distanti fra loro i giudizi storici di studiosi europei e boliviani sulla rapida ascesa e sull’altrettanto rapido crollo dell’utopia delle riduzioni.

Dal punto di vista europeo

In Europa, le riduzioni sono state oggetto di giudizi positivi ma anche di dure critiche. Si è parlato di un’esperienza storica simile a quella della polis greca, di una Città del Sole secondo l’utopia di Tommaso Campanella, di un “comunismo volontario ad alta ispirazione religiosa”. Ma si tratta di paragoni impropri. Se tale esperienza finì bruscamente, la responsabilità del crollo, secondo alcuni

studiosi andrebbe addebitata ai gesuiti. Tre sarebbero stati gli errori commessi. In primo luogo gli indios erano esclusi dal sacerdozio. Nelle riduzioni non c’erano suore e i rinforzi missionari dalla Spagna arrivavano a fatica. In secondo luogo, ai capi indigeni non venivano date responsabilità di direzione. I rapporti esterni rimanevano in mano ai padri. In terzo luogo, la politica di segregazione della riduzione dal resto della colonia finì per creare “un’isola felice in un mare in perenne tempesta”, un sistema quasi perfetto ma isolato dal mondo. Il segreto di quell’armonia fra bianchi e indios, di quell’autosufficienza che non esisteva in nessun’altra parte delle colonie spagnole, suscitava invidie (come quelle dei francescani) e destava sospetti (non poteva essere oro quello che nascondevano i gesuiti?). Voci che arrivarono al Re di Spagna prima, e al Papa poi, e che provocarono il collasso del sistema delle riduzioni.

Continua…

[1] Zulema Lehm Ardaya – La busqueda de la Loma Santa y la marcha indigena por el territorio y la dignidad – casa de Cultura del Beni – Trinidad

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