società

Addentrarsi nel mondo dei diritti… delle donne Parte I

 

Il mondo moderno ha dovuto aspettare il 10 dicembre 1948 affinché l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite stabilisse la lecita concezione dell’archetipo riconoscimento dei “diritti” della persona, evento che si è configurato con l’approvazione e la promulgazione della Dichiarazione Universale dei “Diritti Umani”. Documento da cui è nato l’impegno di sostenere e diffondere largamente tale Dichiarazione, pubblicandone e distribuendone il testo non soltanto nelle cinque lingue ufficiali dell’Organizzazione internazionale (cinese, francese, inglese, russo e spagnolo) ma anche in tutte le lingue possibili da usare in quel momento, e via via fino ai nostri giorni.

I primi due articoli, in un modo chiarissimo, ci fanno entrare nel cuore della questione, perché ci introducono all’argomento facendosi portavoce di un cambiamento epocale, almeno sulla carta. Il primo articolo afferma:

Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.

E il secondo afferma:

“Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella

presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del paese o del territorio cui una persona appartiene, sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi limitazione di sovranità”.

Dunque, appare chiaro che la carta stia parlando sia agli uomini sia alle donne. Eppure, dalla promulgazione di tali diritti, e nei decenni successivi, l’ONU ha continuato, e lungamente, a lottare contro la discriminazione tra i sessi, tanto che nel 1979 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la “Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne” (CEDAW) obbligando gli Stati membri a lottare contro:

“ogni distinzione, esclusione o restrizione sulla base del sesso, che abbia l’effetto o lo scopo, di compromettere o annullare il riconoscimento, il godimento o l’esercizio da parte delle donne, indipendentemente dal loro stato civile, su una base di parità di uomini e donne, dei diritti umani e delle libertà fondamentali nel settore civile politico, economico”. 

Dopo tanta chiarezza e precisione giuridica, dovrebbe essere chiaro che tale affermazione vale per “tutti gli esseri umani”, cioè, per “ogni individuo”, e addirittura, come precisa la citazione ultima riportata, laddove vi sia un ostacolo al compimento di tale diritto è opportuno, anzi necessario, lottare per il suo compimento. Eppure, le difficoltà relative al superamento della questione sono state molteplici, tanto da aver protratto il loro percorso nel tempo, mantenendo una disuguaglianza, spesso sottile o velatamente manifesta, il più delle volte sommersa. Ciò nonostante, i paesi membri dell’ONU hanno continuato a lottare singolarmente e unitamente per il superamento di questa differenza sostanziale.

Continua…

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